Primaquine: come funziona, quando serve e cosa sapere sul farmaco antimalarico

Pubblicato da Jacopo Martinelli
Commenti (0)
19
giu
Primaquine: come funziona, quando serve e cosa sapere sul farmaco antimalarico

La malaria non fa sconti. Solo pensando che ancora oggi, nel 2025, colpisce milioni di persone nel mondo ci fa capire quanto sia importante parlare di certi farmaci. La primaquina non è certo una celebrità come la penicillina, ma in alcune aree ha cambiato la vita a intere popolazioni. Eppure, in Italia ne parlano in pochi, anche tra chi viaggia spesso nei paesi tropicali. Parliamoci chiaro: se vuoi sapere in cosa consiste davvero questa molecola e come può evitare ricadute anche settimane dopo il ritorno dal viaggio, sei nel posto giusto. Non è il solito farmaco "da prendere e via", ci sono cose da sapere, rischi reali e utilizzi specifici. Quindi, niente giri di parole: la primaquina, pur essendo in circolazione da 75 anni, ha ancora segreti da svelare a chi cerca prevenzione o cura vera contro la malaria.

Che cos'è la primaquina e qual è la sua storia?

La primaquina nasce negli Stati Uniti durante gli anni Quaranta, un’epoca in cui bisognava proteggere i soldati in missione nelle aree tropicali. La storia di questo farmaco parte proprio da ricerche militari, quando la malaria mieteva più vittime fra i soldati che le battaglie stesse. Ufficialmente, la primaquina vede la luce nel 1946 e viene approvata come trattamento efficace per interrompere la trasmissione della malaria. Tecnicamente, si tratta di un antimalarico di sintesi della famiglia delle 8-aminochinoline. La cosa che pochi sanno è che la primaquina non è efficace nelle stesse fasi del ciclo del parassita su cui agiscono chinino o clorochina, che sono più conosciuti. Il suo vero punto di forza? Agisce sulle forme "dormienti" del parassita, cioè quelle che restano in silenzio nel fegato, specialmente nella malaria causata da Plasmodium vivax e Plasmodium ovale.

Dal secondo dopoguerra fino agli anni Ottanta, la primaquina ha rappresentato la base della "radical cure", cioè il tentativo di ripulire completamente l’organismo dal parassita per evitare ricadute. Storicamente veniva usata insieme ad altri farmaci, per aumentare l’efficacia e abbattere il rischio di resistenza. Ha avuto il suo massimo impiego tra i militari di Stati Uniti, Regno Unito, Russia, ma anche in massicce campagne sanitarie in India, Amazzonia e Sud-Est asiatico.

Oggi la trovi inserita tra le raccomandazioni dell’OMS per la cura radicale della malaria "ricorrente". In Italia si usa poco, per via del basso rischio nel nostro paese, ma chi viaggia in zone a rischio o accoglie migranti conosce bene il suo nome. Nonostante sia un farmaco "vecchio", non è stato soppiantato da molecole più moderne se bisogna eliminare le "spore" latenti che possono riattivarsi pure mesi dopo la guarigione.

Come funziona la primaquina contro la malaria

Quando si parla di malaria, la maggior parte delle persone pensa alla febbre alta, ai brividi, ai sintomi classici dell’infezione acuta. Ma c’è una trappola: alcune forme del parassita che provoca questa malattia, soprattutto quelle responsabili di ricadute (come il Plasmodium vivax), si "nascondono" nel fegato in uno stato dormiente, chiamate ipnozoiti. Queste cellule non danno sintomi, ma possono "risvegliarsi" improvvisamente dopo settimane o mesi, provocando una nuova crisi di malaria anche quando il viaggio è già finito e non si sospetta più nulla.

La primaquina entra in gioco proprio qui. La sua azione è mirata contro questi ipnozoiti. Mentre farmaci come la clorochina eliminano i parassiti nel sangue (le forme responsabili della febbre e dei sintomi), la primaquina penetra nelle cellule epatiche dove questi dormienti si annidano. In pratica, previene le ricadute che spesso rovinano la vita di chi credeva di essere guarito. Il meccanismo chimico con cui funziona non è ancora tutto chiaro, ma sappiamo che interferisce con i processi biochimici del parassita, danneggiandone profondamente la struttura cellulare e impedendo la loro "rinascita".

Non tutti i ceppi di malaria sono sensibili alla primaquina. Per esempio, il Plasmodium falciparum, che causa le forme più gravi, non ha ipnozoiti: qui la primaquina serve piuttosto per "disinfestare" i vettori e interrompere la trasmissione del parassita. In ogni caso, il suo compito più famoso resta la cosiddetta "cura radicale" delle forme recidivanti. Bastano 14 giorni di trattamento per coprire le situazioni più comuni, ma in casi speciali (tipo nella malaria cronica) può essere usata per cicli più lunghi.

Ecco perché chi viaggia in Sud America, Papuasia, Sud-Est asiatico dovrebbe farsi due domande prima di partire. Nessun vaccino copre le forme "ritardate" della malaria, quindi la prevenzione passa da una profilassi pensata bene, che magari includa anche la primaquina dopo il rientro.

Quando e come si usa: indicazioni, dosaggi ed esempi pratici

Quando e come si usa: indicazioni, dosaggi ed esempi pratici

Il dosaggio standard è semplice: in un adulto si parte da 15 mg al giorno per 14 giorni (fino a 30 mg in assenza di deficit di G6PD). Nei bambini, la dose si aggiusta in base al peso: 0,25-0,5 mg per chilo. In pratica si prende una compressa ogni giorno, sempre alla stessa ora dopo aver mangiato per limitare problemi gastrointestinali.

Non tutte le persone possono usare la primaquina. Il rischio principale riguarda chi soffre di deficit di G6PD (Glucosio-6-Fosfato Deidrogenasi), perché in questi soggetti il farmaco può provocare una grave anemia emolitica. Ecco perché il test per questa condizione si fa sempre prima di prescrivere la terapia, anche se la persona non ha mai avuto sintomi. Nessun medico serio salta questo passaggio.

Un altro aspetto importante è la co-somministrazione con altri farmaci. Per esempio, la clorochina viene ancora usata insieme alla primaquina in molti protocolli, e i due farmaci si "danno il cambio": uno elimina le forme ematiche, l’altro quelle epatiche. In alcune regioni dell’Asia e dell’Oceania, invece, si preferisce l’associazione a farmaci come il tafenoquine, più recente, ma la primaquina resta la scelta più documentata.

La tabella qui sotto mostra rapidamente le situazioni più comuni in cui viene usata la primaquina:

IndicazioneDosaggio GiornalieroDurataNote
Cura radicale (P. vivax, P. ovale)15-30 mg14 giorniTest G6PD obbligatorio
Prevenzione trasmissione (P. falciparum)0,75 mg/kgSingola doseSolo in alcune aree
Trattamento accessorio0,25-0,5 mg/kg7-14 giorniInsieme ad altri antimalarici

Ecco un esempio concreto: una famiglia rientra dal Brasile, dove la figlia di 9 anni ha manifestato sintomi di malaria una settimana dopo il ritorno. La diagnosi conferma P. vivax, quindi la terapia prevede prima tre giorni di clorochina e poi 14 giorni con primaquina, dopo test G6PD. Semplice, ma efficace.

Altra situazione: un medico in missione in Papua Nuova Guinea, regione iper a rischio, completa la terapia post-esposizione con 14 giorni di primaquina, così riduce al minimo la possibilità di ricadute a casa.

Primaquina: effetti collaterali, precauzioni e curiosità

La primaquina non è una passeggiata, ma nemmeno un farmaco "da evitare a tutti i costi". I suoi effetti collaterali sono per lo più gastrointestinali: nausea, crampi, occasionali mal di stomaco. In chi fa la terapia completa, possono comparire stanchezza e lieve anemia, specialmente nelle prime settimane. Però, il problema maggiore arriva nei soggetti con deficit di G6PD, che rischiano un'anemia emolitica anche grave. Non è una possibilità remota: questa condizione genetica è presente in circa il 5-10% delle popolazioni africane e asiatica. Ecco perché la regola del test preventivo non si discute.

Altra cosa da sapere: la primaquina è sconsigliata in gravidanza, e le donne che allattano dovrebbero parlarne con il medico prima di iniziare il trattamento. Studi recenti mostrano che bassissime dosi possono passare nel latte, ma i dati, per ora, sono insufficienti per indicare una regola unica.

Le interazioni farmacologiche non sono numerose, ma chi prende anticoagulanti o farmaci per l’aritmia dovrebbe parlarne col proprio medico. Il metabolismo della primaquina, infatti, può interferire con alcuni enzimi epatici. Una curiosità: la metabolizzazione del farmaco dipende da alcune varianti genetiche, per cui in alcuni soggetti il metabolismo è più lento e aumentano gli effetti collaterali. Questo dettaglio spiega perché ogni tanto chi viaggia negli stessi posti reagisce in modo diverso alla terapia, anche se prende le stesse dosi.

Ultimo dettaglio da non trascurare: nei Paesi dove la malaria colpisce ancora forte, la distribuzione della primaquina è spesso regolata da programmi sanitari governativi, proprio per evitare uso scorretto e rischio di resistenze. L’abuso del farmaco non è solo una questione di "effetti collaterali", ma fa il gioco del parassita che, selezionando forme resistenti, complica la vita di chi davvero ha bisogno della terapia.

Cosa consigliare a chi parte per zone a rischio? Intanto nessun fai-da-te: consultare un medico esperto in malattie tropicali è sempre la prima mossa. Poi, in caso di rientro da aree endemiche, meglio informarsi sulle forme "recidivanti" di malaria e sulle possibilità di terapia radicale: la primaquina potrebbe essere quella soluzione a cui nessuno aveva pensato, ma che può davvero fare la differenza nei mesi successivi al viaggio.