La spondilite anchilosante non è semplicemente un dolore alla schiena. È un’infiammazione cronica che attacca le articolazioni della colonna vertebrale e dei sacroiliaci, e se non viene gestita bene, può portare alla fusione delle vertebre. Immagina la tua colonna che diventa come un bastone rigido: non puoi piegarti, girarti, nemmeno respirare profondamente come prima. Questo non è un problema da trascurare. Colpisce circa 2,7 milioni di persone negli Stati Uniti, e la maggior parte dei casi inizia tra i 17 e i 45 anni. È più comune negli uomini, ma le donne lo sviluppano spesso in forma più lieve e vengono diagnosticate più tardi.
Come riconoscere la spondilite anchilosante?
Il dolore da spondilite anchilosante non si comporta come un classico mal di schiena meccanico. Se ti svegli alle 3 del mattino con la schiena rigida e il dolore che ti tiene sveglio, e se dopo 30 minuti di movimento il dolore migliora, allora c’è qualcosa di più di un semplice stiramento. Questo tipo di dolore dura più di tre mesi, peggiora con il riposo e migliora con l’attività. È un segnale chiaro che qualcosa sta accadendo a livello infiammatorio, non muscolare.
La maggior parte dei pazienti sviluppa infiammazione alle articolazioni sacroiliache entro 10 anni dalla comparsa dei sintomi. Con il tempo, si formano crescite ossee tra le vertebre, chiamate sindesmofiti. Queste possono fondersi, creando quella che i medici chiamano “colonna di bambù” - una colonna rigida e infiammata, con poca o nessuna flessibilità. Il 30-40% dei pazienti non trattati finisce con una fusione completa della colonna entro 10-20 anni.
Il ruolo del gene HLA-B27
Non tutti hanno la spondilite anchilosante, ma quasi tutti quelli che la hanno hanno un gene particolare: HLA-B27. Questo gene è presente nell’88-96% dei pazienti caucasici, contro solo il 6-8% della popolazione generale. Ma non basta averlo per sviluppare la malattia. Molti con il gene non ammalano mai. È come avere una chiave che può aprire una porta, ma non garantisce che la porta si apra. L’interazione tra genetica, ambiente e sistema immunitario è ciò che scatena l’infiammazione.
La presenza di HLA-B27 aiuta i medici a fare diagnosi, ma non è un test definitivo. Se hai dolore infiammatorio alla schiena, un’immagine che mostra sacroileite e il gene HLA-B27 positivo, la diagnosi diventa molto più chiara. Senza questi elementi insieme, la diagnosi è più difficile e spesso viene confusa con problemi muscolari o stress psicologico.
Altre parti del corpo colpite
La spondilite anchilosante non si ferma alla schiena. Può colpire gli occhi, causando uveite anteriore acuta - un’infiammazione dolorosa che porta a occhi rossi, sensibilità alla luce e visione offuscata. Circa un terzo dei pazienti la sviluppa almeno una volta. Può anche colpire l’intestino: fino al 50% dei pazienti ha sintomi simili a quelli del morbo di Crohn o della colite ulcerosa. Alcuni sviluppano psoriasi, un’eruzione cutanea rossa e squamosa, soprattutto sui gomiti, le ginocchia e il cuoio capelluto.
Questi sintomi extra-articolari sono spesso i primi segnali. Molti pazienti vanno dal dermatologo o dal gastroenterologo prima di finire dal reumatologo. Ecco perché la diagnosi può richiedere oltre tre anni: 68% dei pazienti intervistati dalla Spondylitis Association of America ha dovuto consultare almeno quattro medici prima di ottenere una risposta corretta.
Trattamento: farmaci e mobilità
Non esiste una cura, ma esiste un modo per controllare la malattia. Il primo passo è sempre l’anti-infiammatorio: i FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei). Studi mostrano che chi li assume regolarmente riduce del 50% la progressione delle lesioni ossee rispetto a chi li prende solo quando fa male. Non sono solo per il dolore: sono una protezione contro il danno strutturale.
Se i FANS non bastano, si passa alle terapie biologiche. I farmaci che bloccano il TNF-alfa (come adalimumab o etanercept) o l’IL-17 (come secukinumab) hanno rivoluzionato la gestione della malattia. Uno studio del 2023 ha dimostrato che il secukinumab riduce la progressione delle fusione ossee del 55% in due anni. Nel 2023, la FDA ha approvato anche l’upadacitinib, un inibitore JAK, che ha mostrato una risposta del 45% nei pazienti in 14 settimane.
Ma i farmaci da soli non bastano. La fisioterapia è altrettanto importante. Uno studio del Cleveland Clinic ha dimostrato che chi segue un programma di esercizi strutturato per 6 mesi migliora la mobilità della colonna del 25-30%. Questo significa potersi piegare, girare, alzare le braccia - cose che sembrano banali, ma che diventano preziose quando le perdi.
Esercizi che funzionano davvero
Non tutti gli esercizi sono uguali. Quelli che funzionano sono mirati a mantenere la colonna dritta e flessibile. Ecco cosa serve:
- Esercizi di estensione della schiena: Sdraiati pancia a terra, solleva lentamente il torace con le braccia. Ripeti 10 volte al mattino.
- Respirazione profonda: Inspira gonfiando l’addome, espira lentamente. Aiuta a mantenere flessibili le costole e il torace, che spesso si irrigidiscono insieme alla colonna.
- Idroterapia: Nuotare, specialmente stile dorso o stile libero, è tra i migliori esercizi. L’acqua sostiene il corpo, riduce il dolore e permette movimenti più ampi. Un paziente su Reddit ha raccontato che 45 minuti di nuoto al giorno hanno ridotto la rigidità mattutina da 90 a 20 minuti in tre mesi.
- Yoga e pilates adattati: Programmi specifici per la spondilite, come quelli sviluppati da Johns Hopkins, insegnano a muoversi senza forzare. Evitare posizioni che piegano troppo la colonna in avanti.
La chiave è la costanza. La maggior parte dei pazienti abbandona gli esercizi dopo un mese. Ma chi li fa per sei mesi, con regolarità, vede un cambiamento reale. Gli strumenti digitali - app che ricordano gli esercizi o che registrano i progressi - aumentano l’aderenza dal 45% al 78%.
La vita quotidiana: postura e ambiente
La spondilite anchilosante cambia il modo in cui vivi. Siediti dritto. Usa un cuscino lombare in auto e in ufficio. Dormi su un materasso rigido, senza cuscino sotto la testa - o meglio ancora, dormi a pancia in giù. Queste piccole modifiche riducono il dolore del 35% in studi controllati.
Evita di stare seduti per ore. Alzati ogni 30 minuti. Cammina. Stira la schiena. Se lavori in ufficio, chiedi un’adeguata sistemazione: un tavolo regolabile, una sedia ergonomica. Il 42% dei pazienti ha bisogno di adattamenti al lavoro, e la legge li riconosce.
La fatica è il nemico silenzioso. Il 74% dei pazienti la cita come il sintomo più difficile da gestire. Non è solo stanchezza fisica: è un’affaticamento cronico legato all’infiammazione. Riposare non basta. Muoversi, anche poco, aiuta a combatterla.
Costi e accesso alle cure
I farmaci biologici costano tra i 5.000 e i 6.000 dollari al mese negli Stati Uniti senza assicurazione. In Italia, sono coperti dal Servizio Sanitario Nazionale, ma ci sono liste d’attesa e criteri severi per accedervi. Alcuni pazienti devono provare almeno due FANS prima di poter accedere a un biologico. Questo ritardo può costare mobilità.
Non tutti i centri hanno programmi di fisioterapia specializzati. Negli ospedali universitari, sì. Nelle cliniche locali, spesso no. Ecco perché molti pazienti finiscono con esercizi generici, che non sono efficaci. La Spondylitis Association of America offre video gratuiti online, accessati da oltre 15.000 persone al mese. Cerca programmi specifici per la spondilite, non per il mal di schiena comune.
Prospettive future
La ricerca va avanti. Lo studio STABILITY, che coinvolge 500 pazienti in 35 centri, sta cercando di capire quanti minuti di esercizio moderato-vigore servano davvero per fermare la fusione. I dati preliminari suggeriscono che 150 minuti a settimana - circa 20-25 minuti al giorno - sono più efficaci delle raccomandazioni tradizionali.
Entro il 2027, gli inibitori JAK potrebbero rappresentare il 25% del mercato dei trattamenti per la spondilite, sostituendo in parte i TNF-alfa. I dispositivi digitali per il monitoraggio dei sintomi e la motivazione all’esercizio cresceranno del 30% all’anno. La tecnologia non sostituisce il medico, ma aiuta a restare in carreggiata.
Con le cure attuali, il 75% dei pazienti mantiene l’autonomia 20 anni dopo la diagnosi. Senza trattamento, era solo il 45%. Non è una cura, ma è una vita vissuta bene. La chiave è agire presto, muoversi ogni giorno, e non mollare.
La spondilite anchilosante può essere curata?
No, al momento non esiste una cura definitiva. Ma con trattamenti tempestivi e costanti - farmaci e esercizi - è possibile controllare l’infiammazione, prevenire la fusione della colonna e mantenere una buona qualità di vita. Molti pazienti vivono senza limitazioni significative per decenni.
È vero che l’esercizio fisico può fermare la progressione della malattia?
Sì. Studi clinici dimostrano che un programma regolare di esercizi mirati - estensioni della schiena, respirazione profonda, nuoto - migliora la mobilità del 25-30% in sei mesi e riduce la progressione delle lesioni ossee. L’esercizio non cura, ma protegge. È parte integrante del trattamento, non un’opzione aggiuntiva.
Perché la diagnosi tarda così tanto?
Perché i sintomi iniziali - dolore alla schiena, rigidità - sono spesso confusi con mal di schiena da sforzo, stress o cattiva postura. I medici generici non sempre riconoscono i segni infiammatori. Inoltre, i test del sangue (come l’HLA-B27) non sono definitivi, e le immagini (X-ray) non mostrano nulla nei primi anni. Serve un reumatologo esperto e un’RM per una diagnosi precoce.
Quali sono i segni che la malattia sta peggiorando?
Se la rigidità mattutina dura più di un’ora, se hai difficoltà a respirare profondamente, se ti pieghi meno di prima, o se noti una curvatura della schiena (cifosi), è un segnale che l’infiammazione sta causando danno strutturale. Contatta il tuo reumatologo: potrebbe essere il momento di cambiare terapia.
Posso fare sport se ho la spondilite anchilosante?
Sì, e devi farlo. Ma scegli bene. Nuoto, ciclismo su bicicletta ergometrica, yoga adattato e camminate sono eccellenti. Evita sport a impatto alto come calcio, rugby o salti. L’obiettivo non è la prestazione, ma la mobilità e la protezione della colonna. Ascolta il tuo corpo: se un movimento fa male, smetti e chiedi consiglio al fisioterapista.
La spondilite anchilosante è ereditaria?
Non è ereditaria nel senso classico, ma il gene HLA-B27 può essere trasmesso. Se un genitore ha la spondilite e il gene, il figlio ha il 50% di probabilità di ereditarlo. Ma avere il gene non significa avere la malattia. Solo una piccola parte di chi lo ha svilupperà la spondilite, e solo se altri fattori (infiammazione, infezioni, stress) lo attivano.